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NOVA ASTRONAUTICA
Indice Generale
~ Volume 17 ~

Nø71, Gennaio - Febbraio - Marzo 1997

Nø72, Aprile - Maggio - Giugno 1997

Nø73, Luglio - Agosto - Settembre 1997

Nø74 , Ottobre - Novembre - Dicembre 1997

Il nuovo sito web dell’ASPS: http://www.mywebpages.com/asps.......1

PNN, ASTEROIDI E COMETE OVVERO A COSA ALTRO SERVE LA PNN ………2

di Massimo Ceccarelli

Nei sedici anni trascorsi dal primo numero di "NOVA ASTRONAUTICA" abbiamo cercato di rappresentare i possibili impieghi della Propulsione Non Newtoniana (PNN) in campo spaziale. Malgrado cio, è apparso sempre più evidente, agli occhi di chi scrive, come alcune acquisizioni in campo planetologico, proprie di questo ultimo periodo, abbiano dischiuso orizzonti ancora più vasti alle applicazioni della PNN. Vogliamo qui riferirci soprattutto alle osservazioni e scoperte nel campo delle popolazioni di corpi minori (asteroidi e comete) del Sistema Solare.
Gli effetti degli impatti su Giove dei frammenti della cometa Shoemaker-Levy 9, visibili perfino con un telescopio di dimensioni modeste, hanno convinto anche i più scettici che le probabilità di impatto di una cometa con il nostro pianeta non sono trascurabili, e che un tale evento potrebbe modificare sensibilmente la storia dell'Umanità. Nella peggiore delle ipotesi - diametro del nucleo cometario superiore a 50 km, velocità di penetrazione di esso nell'atmosfera terrestre superiore ai 70 km/s - l'evento comporterebbe il totale stravolgimento della biosfera e la scomparsa della civiltà tecnologica, forse anche della stessa specie umana. Prendendo in esame uno scenario meno sfavorevole, possiamo paragonare l'energia liberata nella discesa e nell'eventuale impatto di un nucleo del diametro di un chilometro animato da una velocità di venti chilometri al secondo con quella di tutti gli ordigni nucleari presenti negli arsenali dei vari paesi, considerati insieme. Dobbiamo infine scendere ad un oggetto del diametro di cento metri e ad una velocità di 15 km/s per individuare un evento che comunque potrebbe, se avvenisse nel posto "giusto", cancellare dalla faccia del pianeta una intera megalopoli.
Per allontanare simili evenienze, si stanno istituendo servizi di osservazione, controllo e tracciame atti ad individuare e seguire asteroidi e comete con caratteristiche orbitali che li possano rendere pericolosi per la Terra. Questi programmi dovrebbero preludere alla costituzione di una sorta di "braccio operativo astronautico", il cui compito dovrebbe essere quello di allontanare la minaccia di un incontro ravvicinato troppo 'penetrante', una volta che il corpo celeste pericoloso fosse stato individuato.
Il condizionale è purtroppo d'obbligo perché tale "braccio operativo" potrebbe avere qualche probabilità di successo pieno solo se operasse contro un asteroide, ma non purtroppo contro una cometa. Vediamo di capire il perché di una tale, grave, affermazione. La quasi totalità degli asteroidi conosciuti la cui orbita interseca quella terrestre o a questa si avvicina, presenta una distanza dal Sole, all'afelio, minore di 600 milioni di km. Questo significa che la maggior parte degli asteroidi esistenti potenzialmente pericolosi non si allontana mai dalla Terra a più di 750 milioni di chilometri, e che per la maggior parte del tempo essi si muovono più vicini al nostro pianeta. Di conseguenza, buona parte degli asteroidi potenzialmente pericolosi è stata già scoperta, e la maggior parte degli altri dovrebbe essere individuata nel prossimo decennio, se si decidesse di costruire a questo scopo almeno un paio di telescopi "dedicati " della classe superiore ai 300 cm di apertura.
Una volta individuata la quasi totalità di questi corpi e determinati i loro parametri orbitali con precisione accettabile, sarà possibile prevedere un loro incontro "troppo ravvicinato" col nostro pianeta con un largo margine di anticipo.
Con un preavviso di anni, sarà quindi possibile allestire uno o più vettori di grande potenza, capaci di immettere in un'orbita circumsolare di trasferimento una sonda di notevoli dimensioni. La sonda potrebbe quindi scendere sulla superficie dell'asteroide, ancorarsi ad essa ed infine accendere il proprio motore a razzo principale per imprimere all'asteroide una spinta capace di modificarne i parametri orbitali quel tanto che permetta di evitare l'impatto del pianetino con la Terra. Detto così sembra una cosa semplice, ma bisogna tenere presente che la sonda dovrebbe presentare necessariamente, al momento del contatto con l'asteroide, una massa di almeno una decina di tonnellate. Questo equivale a dire che, per certe geometrie orbitali - orbite asteroidali ad alta inclinazione - la missione richiederebbe un vettore della classe di un Saturno V. Dato poi che la missione in nessun caso dovrebbe fallire, sarebbe giocoforza allestire tre di questi vettori, nello stesso tempo e quindi su tre rampe diverse, e lanciarli comunque, non essendoci con ogni probabilità il tempo per un secondo tentativo. La conseguenza più interessante di quanto appena affermato, è che sarebbe necessaria almeno una "prova generale" di tutto l'apparato, prima di potersi dire relativamente tranquilli. La qualcosa significa che l'intercettazione e l'"allontanamento" di un singolo asteroide destinato a caderci addosso, ci verrebbe a costare all'incirca come l'intero progetto Apollo........ Per cercare di contenere i costi, è stato da più parti suggerito di distruggere l'asteroide con un ordigno nucleare. Questo consentirebbe di ridurre la massa al lancio di un ordine di grandezza, e quindi di usare vettori molto meno costosi ed attualmente in produzione. Ma anche qui sorgono problemi, e non trascurabili. In primo luogo, per consentire un reale risparmio, la testata dovrebbe raggiungere l'asteroide con modalità fly-by e non con modalità rendez-vous. Quindi la velocità relativa al momento dell'incontro sarebbe dell'ordine di grandezza dei dieci chilometri al secondo.
E' senz'altro possibile ottenere l'attivazione dell'ordigno nucleare nell'istante voluto, con l'approssimazione di un millesimo di secondo: il problema è stato risolto quando sono state sviluppate testate atte a disattivare missili ICBM protetti in silos sotterranei. Quello che non si può prevedere è il numero e le dimensioni dei frammenti in cui verrà smembrato l'asteroide dall'esplosione.
Una previsione richiederebbe, prima di tutto, una precisa conoscenza della morfologia del pianetino, della sua composizione, della sua massa, del suo periodo di rotazione e dell'orientamento del suo asse. Ma questo richiederebbe una missione preventiva con modalità rendez-vous, e ci riporterebbe al primo sistema descritto. Del pari sarebbe necessaria, per calibrare l'effetto delle testate, una serie di missioni di distruzione di asteroidi ben conosciuti. E' facilmente immaginabile il tipo e la quantità di obiezioni che sarebbero mosse (ed a ragione) ad un tale protocollo sperimentale. L'alternativa sarebbe quella di dotare ogni vettore di una testata di grandissima potenza (oltre i dieci Megaton), ma bisogna tenere presente che tali testate pesano non poco, e che quindi il vettore andrebbe necessariamente surdimensionato. Malgrado ciò, nel caso di un bersaglio di diametro superiore al chilometro, l'esplosione potrebbe generare frammenti dell'asteroide di diametro superiore ai cento metri. Questi macroframmenti costituirebbero di fatto anche essi un rischio per il nostro pianeta.
In questa situazione sarebbe necessario ripetere l'intercettazione per ciascuno dei macroframmenti. Purtroppo per avere la certezza di poter intercettare ogni macroframmento prima del suo impatto con la Terra non sarebbe possibile attendere una loro eventuale origine: il tempo necessario per individuarli dopo l'esplosione, per determinarne con ragionevole grado di certezza la traiettoria, per lanciare contro di loro altri vettori e quindi perché le testate li raggiungano, potrebbe essere semplicemente più lungo del tempo necessario ai macroframmenti per raggiungere la Terra. Si renderebbe quindi indispensabile lanciare comunque un congruo numero di vettori in rapida successione dopo la scoperta di un asteroide potenzialmente pericoloso, per avere un numero di testate in volo sufficiente per intercettare in tempo utile sia l'asteroide che gli eventuali macroframmenti.
Tenendo conto delle possibilità di insuccesso di ogni singola intercettazione, dobbiamo ipotizzare una forza di intervento costituita da circa una decina di vettori pronti al lancio e distribuiti su almeno due basi operative. Date le esigenze di controllo e manutenzione, perché in ogni momento siano pronti al lancio dieci vettori, siamo costretti ad immaginare un totale di almeno quindici vettori, da tenere sulle rampe di lancio a turno. La spesa per impiantare e gestire tutto il sistema non appare trascurabile, ma i problemi politici legati soprattutto all'architettura della catena di comando e controllo potrebbero rivelarsi molto più seri di quelli economici.
Quello che è più importante, è che probabilmente questo 'protocollo' presenterebbe un tipo particolare di effetti collaterali. In pratica, con questo trattamento, l'asteroide finirebbe sminuzzato in una quantità altissima di frammenti, il cui numero sarebbe, in prima approssimazione, inversamente proporzionale alle dimensioni dei frammenti stessi. La Terra , ed una porzione molto vasta dello spazio circumterrestre, sarebbero dunque investiti da una nube di oggetti di dimensioni superiori ai dieci metri (molto pochi), di dimensioni comprese tra i dieci metri ed il metro (pochi), tra un metro e i dieci centimetri (molti), tra i dieci centimetri ed il centimetro (moltissimi), al di sotto di un centimetro (innumerevoli).
La quasi totalità dei frammenti che attraversassero l'atmosfera verrebbe distrutta dall'attrito, ed i pochi che giungerebbero al suolo provocherebbero danni relativi; sicuramente per un certo periodo di tempo la ionizzazione dell'aria raggiungerebbe livelli notevoli, e la radioattività di fondo aumenterebbe più o meno ai livelli che si raggiungono dopo test nucleari nell'atmosfera. Il vero problema sarebbe però costituito dalla interazione tra la nube di frammenti (sciame meteorico artificiale) ed i satelliti artificiali in orbita attorno al nostro pianeta.
Per avere un'idea dei termini della questione, sarà opportuno ricordare che un meteoroide del peso di un grammo che impatti contro un satellite ad una velocità relativa di 20 km/sec , possiede un'energia cinetica pari a quella di un'automobile di media cilindrata che viaggi a 70 km/h. Un frammento con tali caratteristiche potrebbe facilmente disattivare definitivamente un satellite, oppure alterarne l'assetto per un periodo di tempo variabile danneggiando componenti non critici. Nella peggiore delle ipotesi, il frammento potrebbe produrre l'esplosione del serbatoio di idrazina di cui molti satelliti sono dotati.
Soprattutto in questo caso, ma in misura minore anche in assenza di esplosione, il satellite si trasformerebbe a sua volta in una fonte di frammenti che, seppure ad una velocità relativa di gran lunga minore, potrebbero impattare su altri satelliti. Di fatto i frammenti di un asteroide in rotta verso la Terra, generati da una o più esplosioni nucleari, potrebbero fungere da catalizzatori per quella reazione a catena che nei prossimi decenni comincerà a decimare i satelliti artifìciali, se non si troverà alla svelta un sistema semplice ed economico per riportare a terra i satelliti giunti alla fine della loro vita operativa. Questa ipotesi presenta alcuni corollari di discreto interesse. Il primo è che l'effetto della nube di frammenti colpirebbe, seppure in maniera indiretta, anche i satelliti che venissero lanciati dopo il passaggio della nube stessa; questo perché sarebbe diminuita la durata media della vita utile di tutti i satelliti, a causa dei frammenti dei satelliti già distrutti. Anzi, ogni nuovo satellite posto in orbita, divenendo egli stesso un possibile bersaglio, diverrebbe anche una possibile fonte di altri frammenti, diminuendo le probabilità di sopravvivenza di tutti gli altri satelliti.
In pratica, la sostituzione dei satelliti disattivati durante e dopo il passaggio dello sciame di meteoroidi (frammenti) creato artificialmente con le esplosioni nucleari, diventerebbe una sorta di gioco al massacro, una fatica di Sisifo astronautica che, in base a considerazioni meramente economiche, potrebbe anche non rendere più remunerativo porre in orbita satelliti per telecomunicazioni. Che cosa questo significherebbe per tutta l'industria aerospaziale mondiale è troppo evidente per spiegarlo. Bisogna poi rilevare che periodicamente la Terra si troverebbe a riattraversare lo sciame di meteoroidi 'artificiali': sicuramente ogni evento sarebbe meno drammatico del primo, ma i danni ai satelliti si sommerebbero a quelli degli incontri precedenti. Da tutto ciò deriva che l'avvio di una missione di distruzione di un asteroide dovrebbe necessariamente soggiacere ad una valutazione molto stringente del rischio di impatto del pianetino con la Terra. Infatti, come si potrebbe impartire l'ordine di distruggere un asteroide che forse potrebbe cadere sulla Terra e forse no, se con tale atto quasi certamente buona parte dei satelliti artificiali verrebbe distrutta? E' comprensibile che, nel caso in cui l'intercettazione si rivelasse indispensabile, il tempo impiegato per giungere alla decisione di agire sarebbe più lungo, e quindi meno ne rimarrebbe per la missione. Alla luce di queste considerazioni sembra più ragionevole l'opzione, solo apparentemente più costosa, della missione 'non esplosiva' con modalità rendez-vous. E' stato peraltro proposto dì impiegare ordigni nucleari con modalità propulsive. La bomba nucleare verrebbe cioè fatta esplodere sulla superficie dell'asteroide senza distruggerlo, ma vaporizzando una discreta porzione della sua massa. Tale massa vaporizzata fungerebbe da massa di reazione spingendo l'asteroide su una traiettoria di evitamento della Terra. Peraltro non si vede come questa metodica possa essere applicata senza una conoscenza scrupolosa anche di tutti i parametri chimico-fisici dell'asteroide, pena il rischio di ricadere nei problemi del caso precedente, dato che una carica nucleare troppo energetica farebbe a pezzi il pianetino. Da ciò deriva che, obbligatoriamente, la missione dovrebbe essere condotta con modalità rendez-vous, e che comunque sarebbero necessarie tante missioni di prova almeno quante sono le classi chimiche di asteroidi conosciute, con gli aggravi già descritti.
Per ovviare agli inconvenienti dei sistemi finora elencati, qualcuno ha pensato di inviare verso l'asteroide una sonda che funga da proiettile ad energia cinetica. In pratica, l'energia di movimento della sonda verrebbe trasmessa alla massa asteroidale con l'impatto della sonda medesima sulla superficie del pianetino, deviandone la traiettoria.
Il sistema è senz'altro attraente nella sua pur brutale semplicità, ma richiede una conoscenza quasi perfetta del centro di massa dell'asteroide ed una "mira" con un margine di errore di pochi metri. In più non sarebbe utilizzabile su asteroidi binari.
E questo è quanto per gli asteroidi ma, come dicevamo all'inizio, per le comete il discorso cambia radicalmente.
Alcune comete, quelle originate dalla nube di Oort, possono dirigersi verso il cuore del Sistema Solare provenendo da qualunque direzione. Le distanze a cui permangono durante la maggior parte dei loro lunghissimi periodi orbitali le rendono praticamente non individuabili con quel preavviso di anni che invece abbiamo ragionevolmente ipotizzato per gli asteroidi, rispetto alla data del presunto impatto con la Terra.
L'attività di qualunque cometa è inoltre estremamente variabile ed imprevedibile. Questo non solo rende difficile una valutazione della massa del nucleo, e quindi dell'energia cinetica necessaria per una eventuale deviazione della sua traiettoria, ma modifica il cosiddetto "effetto razzo", cioè la variazione dei parametri orbitalì indotta dalla reazione meccanica all'emissione di materiale dal nucleo stesso. La sommatoria delle incertezze relative ai parametri orbitali iniziali con quelle derivanti dalla maggiore o minore perturbazione indotta dall'effetto razzo su tali parametri nel corso dell'avvicinamento alle regioni interne del Sistema Solare, creerebbe enormi difficoltà nella valutazione delle probabilità di impatto di un determinato nucleo cometario col nostro pianeta. Da ciò ne discenderebbe probabilmente un allungamento dei tempi di decisione per un eventuale avvio della missione, analogamente a quanto abbiamo già visto con le missioni di tipo 'esplosivo' dirette contro gli asteroidi. Nel caso ora in esame, però, il ritardo sarebbe tanto più grave in quanto il periodo di tempo rimanente prima dell'impatto potrebbe essere molto breve, e quindi brevissimo sarebbe l'intervallo tra il momento della deviazione indotta artificialmente sull'orbita della cometa ed il momento del massimo avvicinamento o impatto con la Terra. E poiché l'effetto della perturbazione è tanto maggiore quanto maggiore è il tempo trascorso dalla perturbazione medesima, ben si vede come, a parità di altre condizioni, la spinta della sonda dovrebbe essere maggiore. Una cometa proveniente dalla nube di Oort potrebbe presentarsi all'appuntamento con la Terra su una orbita retrograda e parabolica. In questo caso una missione con modalità rendez-vous richiederebbe un vettore con una massa al lancio almeno doppia di quella di un Saturno V. Poiché vettori di tali dimensioni non sono mai stati costruiti, l'opzione più economica sarebbe quella di porre in orbita attorno alla Terra prima la sonda ed un propulsore della classe di un terzo stadio di un Saturno V, utilizzando appunto un vettore di questo tipo o un derivato, e poi piazzare in orbita un terzo stadio modificato, con un altro vettore classe Saturno V. Il terzo stadio modificato raggiungerebbe, con una manovra di rendez-vous circumterrestre, il terzo stadio recante la sonda, ed a questo si aggancerebbe formando un vettore pluristadio orbitale a idrogeno ed ossigeno liquidi, con una massa totale superiore alle 300 tonnellate.
Questo pluristadio orbitale potrebbe effettivamente immettersi in una traiettoria di intercettazione della cometa, consumando buona parte del carburante del suo primo stadio, e poi bruciare quel che resta del suo primo stadio e tutto il suo secondo stadio, per immettersi in un'orbita molto prossima a quella del suo obiettivo. La sonda dovrebbe quindi navigare 'di conserva' al nucleo dalla cometa, avvicinandosi ad esso ad una velocità relativa molto bassa, per evitare impatti distruttivi con i frammenti emessi dal nucleo. Durante questa manovra essa dovrebbe misurare con precisione i parametri fisici del nucleo stesso.
Cerchiamo ora di immaginare la situazione. La sonda avanza lentamente, in uno degli ambienti più caotici che mente umana possa immaginare. Guidata da telecamere con un'ampia gamma di sensibilità nel visibile, da telecamere all'infrarosso e da un sofisticato sistema radar, accoppiati con il migliore e più affidabile sistema di Intelligenza Artificiale che sia mai stato sviluppato, la sonda veleggia nel tenue campo gravitazionale della cometa, cercando di evitare i punti di emissione sulla superficie irregolare del nucleo.
Il suo obiettivo finale è uno dei poli dell'asse di rotazione del nucleo cometario, quello da cui dovrebbe essere più conveniente applicare il vettore di spinta per immettere la cometa in una traiettoria di evitazione della Terra. La sonda potrebbe anche scegliere un posto diverso dai poli, ma allora sarebbe costretta ad accendere e spegnere il proprio sistema di propulsione a seconda dell'orientamento che il punto di applicazione del vettore spinta assumerebbe rispetto all'orbita della cometa, durante la rotazione del nucleo.
Alla fine la sonda si adagia nella posizione prescelta, accende il proprio motore a razzo principale e cerca di imprimere al nucleo una spinta sufficiente a deviarlo. Ed è qui che potrebbero nascere i problemi peggiori.
Purtroppo i nuclei delle comete sembrano possedere una forza di coesione molto bassa. Il 'suolo' potrebbe semplicemente cedere sotto la spinta del motore principale della sonda. Se ciò avvenisse in maniera asimmetrica, questo modificherebbe l'orientamento del vettore di spinta. Per ovviare ad un tale inconveniente, si potrebbe dotare la sonda di 'piedi' regolabili e/o di un ugello orientatile, ma queste due soluzioni tecniche aumenterebbero la massa della sonda di una percentuale non trascurabile, e per i vettori non sarebbe sufficiente nemmeno la pur onerosissima soluzione a cui prima accennavamo. Anche nel caso in cui il suolo cedesse in maniera simmetrica, se la sonda sprofondasse troppo potrebbero presentarsi problemi non trascurabili. Il calore generato dal motore a razzo dell'astronave automatica potrebbe riscaldare il materiale cometario attorno al punto di atterraggio della macchina fino al punto di sublimazione. In pochi secondi il luogo potrebbe divenire un altro punto di emissione del nucleo cometario, disintegrandosi letteralmente intorno alla sonda.
Ammesso di riuscire a far retrocedere la macchina per tirarla fuori da un tale inferno di detriti di ogni dimensione, di gas e vapori di ogni genere, si potrebbe farla riatterrare un poco più in là, sperando che il suolo presenti caratteristiche più favorevoli nel nuovo sito. Di fatto, per ottenere un risultato accettabile, sarebbe necessario utilizzare due risorse di cui la sonda ci appare già fin d'ora piuttosto povera: il tempo ed il propellente.
Ogni manovra, infatti, presenterebbe un costo notevole in termini di propellente: per essere ragionevolmente certi di averne abbastanza, bisognerebbe surdimensionare la sonda, con tutto quel che ne consegue.
Anche nell'ipotesi in cui il suolo non ceda, è senz'altro possibile che, nel tempo intercorrente tra l'acquisizione dei dati relativi ai parametri fisici del nucleo cometario (massa, dimensioni, posizione del baricentro, orientamento dell'asse di rotazione) e lo spegnimento del motore principale della sonda, tali parametri si modifichino in misura non trascurabile a causa della normale attività del nucleo.
Nella peggiore delle ipotesi, al momento dell'accensione del motore principale la cometa potrebbe spaccarsi in più macroframmenti, e quelli diretti verso la Terra, se ce ne fossero, potrebbero essere non più raggiungibili o deviabili dalla sonda.
La frantumazione spontanea del nucleo potrebbe avvenire anche dopo che il nucleo fosse stato immesso in una traiettoria di evitazione con conseguenze diffìcilmente calcolabili. Come infatti abbiamo già visto, ogni macroframmento non seguirebbe una traiettoria newtoniana dominata dalla sola forza gravitazionale, ma tenderebbe a discostarsi da essa sotto l'azione dell'effetto razzo. In linea di principio, un'attività molto intensa di uno o più dei punti caldi di uno dei macroframenti staccatisi dal nucleo originario, potrebbe risospingere la neocometa in una nuova traiettoria dì impatto con la Terra.
Alla luce di tutte queste considerazioni, dobbiamo ragionevolmente convenire che le probabilità di successo di una missione verso una cometa proveniente dalla nube di Oort non supererebbero il 60%.
Il costo totale della missione sarebbe però realmente astronomico, perché per sperimentare e tarare la strumentazione sarebbero necessarie almeno due missioni di prova, e perché per avere un tempo di reazione sufficientemente breve con una ridondanza dei sistemi accettabile, sarebbe necessario tenere pronti al lancio con un preavviso di pochi giorni, almeno quattro vettori della classe di un Satumo V.
Per finire gioverà ricordare che anche nel caso di riuscita 'piena' della missione, la nube di frammenti emessi dalla cometa prima della deviazione agirebbe pesantemente sulla popolazione di satelliti che circonda la Terra, e che tale nube sarebbe tanto più ricca di frammenti quanto più si fosse ritardato nel deviare il nucleo cometario. L'impiego di un ordigno nucleare contro un nucleo cometario in rotta di collisione col nostro pianeta genererebbe, con ogni probabilità, uno sciame di meteoroidi capace di disattivare permanentemente almeno 1'80 % dei satelliti in funzione e di disattivare momentaneamente almeno i quattro quinti del restante 20 %.
La maggior parte dei satelliti artificiali verrebbe letteralmente fatta a pezzi, ed il numero dei detriti in orbita circumterrestre salirebbe a livelli tali da scoraggiare in partenza qualunque tentativo di ricostituzione della popolazione.
Impossibile anche utilizzare l'effetto propulsivo di un ordigno nucleare : la cometa andrebbe quasi certamente incontro ad uno smembramento caotico, riportandoci alla situazione appena descritta. La tecnica di deviazione per impatto non appare utilizzabile: l'energia fornita dalla sonda proiettile porterebbe sicuramente alla sublimazione istantanea di centinaia di tonnellate di materiale cometario, con rischio di frammentazione del nucleo e/o di attivazione di un effetto razzo incontrollabile. Comunque lo sciame di meteoroidi interagirebbe in maniera distruttiva con la popolazione di satelliti. A questo punto di deve onestamente concludere per l'impossibilità di giungere ad un efficace sistema di protezione dagli impatti di comete provenienti dalla nube di Oort, basato su sistemi di propulsione ordinari.
Per quanto concerne l'impiego di sistemi propulsivi alternativi ma comunque basati sull'espulsione di massa, bisogna rilevare che i motori a ioni generano una spinta troppo bassa per consentire l'avvicinamento in tempo utile di un nucleo cometario, mentre i lanciatori di massa potrebbero essere utilizzati solo per la manovra di deviazione della cometa, perché necessitano di un altro sistema di propulsione per essere depositati sulla superficie del corpo da spingere. Anche per quel che riguarda le vele solari dobbiamo ripetere quanto detto per i motori a ioni: la spinta sarebbe troppo bassa, e non si vede come si potrebbe evitare che venissero distrutte dalla materia emessa dalla cometa.
Per quanto concerne le comete provenienti dalla fascia di Edgeworth-Kuiper si può tranquillamente ripetere quanto detto per quelle della nube di Oort, con la differenza che le orbite delle prime presentano parametri di solito molto più favorevoli dal punto di vista dell'energia necessaria per l'avvicinamento.
Possiamo quindi concludere che un sistema operativo il quale presenti costi di sviluppo, progettazione , realizzazione e gestione appena avvicinabili avrebbe discrete probabilità di successo completo contro asteroidi, probabilità appena accettabili contro comete della fascia di Edgeworth-Kuiper e probabilità decisamente troppo basse contro comete della nube di Oort. E allora? Allora dobbiamo riconsiderare daccapo il problema chiedendoci se esiste un sistema rapido ed economico per deviare i corpi minori del Sistema Solare che dovessero avvicinarsi troppo al nostro pianeta.
Questo sistema esiste, ed è la Propulsione Non Newtoniana (PNN). Un'astronave con uomini a bordo spinta dalla PNN potrebbe, mantenendo un'accelerazione costante di poco superiore a quella di gravità, affiancare in meno di sette settimane una cometa che si presentasse su un'orbita retrograda e parabolica. Con un'accelerazione molto più ridotta si potrebbe, in una settimana, raggiungere in condizioni di sicurezza il nucleo cometario e prendere posizione sulla sua superficie. Rimarrebbero allora più di 20 settimane per determinare, con una spinta continua ma tale da non provocare la disgregazione del nucleo, una deviazione accettabile della traiettoria della cometa. Comunque, in caso di frammentazione, l'astronave avrebbe tutto il tempo per prendere contatto con i macroframmenti e per deviare quelli che anche solo lontanamente potessero costituire un pericolo per il nostro pianeta.
I meteoroidi emessi dalla cometa prima della deviazione costituirebbero comunque un problema, ma bisogna anche tenere conto del fatto che lo sciame avrebbe una densità più bassa di almeno un ordine di grandezza rispetto a quella dello sciame da cui sarebbe investito lo spazio circumterrestre nel caso in cui la cometa fosse deviata con uno qualsiasi dei sistemi precedentemente descritti. Questo soprattutto perchè, con una astronave a PNN la cometa verrebbe raggiunta molte settimane prima che con qualsiasi altro sistema propulsivo. Il costo della missione sarebbe molto basso, perché l'astronave non verrebbe costruita apposta per intercettare e deviare la cometa, ma sarebbe un mezzo utilizzato abitualmente per porre in orbita circumterrestre satelliti e per riportare giù a terra quelli non più operativi, sarebbe il traghetto che tre volte alla settimana fa avanti e indietro dalla Terra alla Luna portando uomini, materiali e prodotti finiti dalle fabbriche lunari. Tutto ciò è possibile già fin d'ora, bisogna solo decidere di farlo.
(LA BIBLIOGRAFIA SUL PROSSIMO NUMERO)

Pandozy G.: Market Strategy and Ethics….3

Cronache Sociali……………………….20

MECCANISMO ROTO-LINEARE PER LO SPOSTAMENTO DI OGGETTI, SENZA SPINTA SU APPOGGIO ESTERNO…………27

(Nova Astronautica, Vol.17 n.74, 1997 pp.27-31) di Cosimo Luigi SGARLATA,
cittadino italiano, domiciliato a Tricase (LE) via Leone XIII Nota: La Descrizione tecnica dell'invenzione industriale dal titolo sovrastante è stata depositata dal Sig. Sgarlata all'Ufficio Brevetti, Ufficio Provinciale di Bari in data 4 Novembre 1997, con numero di Domanda : BA 97 A000053
Forma oggetto del presente trovato un meccanismo rotolineare costituito essenzialmente da una parte rotante principale, sulla quale ruotano altre parti del meccanismo che oscillano; tali masse roto-oscillanti hanno un movimento che può considerarsi lineare. Questo movimento lineare può essere utilizzato per creare una differenza fra azione e relativa reazione. In tal modo, se il meccanismo è solidale con un oggetto isolato, si può ottenere lo spostamento dell'oggetto con la sola spinta interna. Non vi è nulla di simile perchè, attualmente, per spostare qualsiasi oggetto è necessario l'appoggio su una parte esterna all'oggetto da spostare. Il meccanismo roto-lineare, oggetto della presente invenzione, è di grande utilità perchè con esso si potrebbe far spostare un aereo senza l'uso di elica e senza la spinta di reazione, visto che si può muovere grazie alla sola spinta che si crea all'interno dello stesso oggetto. Per spostare un oggetto necessita una forza di azione, a cui si contrappone una forza di reazione uguale e contraria; se tutto ciò avviene in un sistema isolato non vi è spostamento del baricentro.
Per spostare un oggetto necessita un lavoro uguale ad " un mezzo della massa moltiplicato la velocità al quadrato". Se ad esempio, si deve portare una massa 10 ad una velocità di un metro/secondo, si calcola " un mezzo per 10 per uno al quadrato" e si ottiene che necessita un lavoro di 5 Kg./metri. Se avessimo un sistema isolato con la base dieci volte la massa, con i 5 Kg./metri di reazione e con la formula "radice quadrata di: 5 per due diviso cento", in un secondo la base si sposterebbe di 0,3 metri e, quindi, il baricentro si sposterebbe di 0,2 metri.
Ora, a titolo esemplificativo, consideriamo una base formata da due tubi -con gli estremi chiusi- solidali frontalmente ed aventi un peso-massa 100 (fig.1). Nei due tubi "AA" e "BB" consideriamo di avere rispettivamente i pesi "A" e "B", con massa 10, tali pesi rimbalzano fra le sponde del tubo.Se i pesi viaggiano verso la sponda esterna e sono ben sincronizzati, quando rimbalzano vanno sulla sponda interna e non vi è spostamento di baricentro. Supponiamo che le distanze fra gli estremi di ogni tubo siano di 10 metri e che i due pesi abbiano una velocità lineare di 10 metri/secondo. Ora, per portare il peso "A", che è rimbalzato sulla sponda destra e si avvia verso la sponda sinistra, alla velocità di 11 metri/secondo, grazie alla formula "lavoro uguale ad un mezzo massa per la differenza del quadrato della velocità" si conosce che necessita un lavoro pari a 105 Kg./metri. Come reazione alla spinta dei 105 Kg./metri sulla base, grazie alla formula "radice quadrata di: 105 per due diviso 100" si ha il risultato di 1,449 metri/secondo; tale risultato rappresenta lo spostamento della base verso destra in un secondo, quando il peso "A" varia la sua velocità da 10 ad 11 metri/secondo verso sinistra. Se freniamo il peso "A" prima che abbia terminato il percorso dei dieci metri e lo riportiamo alla velocità di 10 metri/secondo, la base perde la spinta verso destra. Poichè il peso "A" percorre i dieci metri in meno di un secondo, possiamo stimare che lo spostamento positivo della base sia di 1,3 metri. Il peso "A" arriva alla sponda sinistra in anticipo rispetto al peso "B"; inoltre il peso "A"arriva alla sponda sinistra con tutta la forza dei 10 metri/secondo, vale a dire con 500 Kg./metri e, secondo la formula "lavoro uguale ad un mezzo massa per il quadrato della velocità", spinge la base verso sinistra di 3,162 metri/secondo. Dal momento che questa spinta si ha per un tempo stimato in un decimo di secondo, lo spostamento può essere arrotondato a 0,316 metri: per effetto del rimbalzo vi sarà un'uguale spinta negativa per un totale negativo di 0,632 metri. Il tutto si neutralizza quando il peso "B" arriva alla sponda destra. Non appena il peso "B" si avvierà verso sinistra, verrà portato alla velocità di 11 metri/secondo; tale aumento di velocità lo faremo perdere prima della fine del percorso rettilineo. Anche in questo secondo mezzo ciclo, con i 105 Kg./metri di reazione si avrà una spinta positiva della base verso destra di 1,3 metri; questa volta i pesi arriveranno alle sponde centrali in contemporanea.
Stimiamo che per un ciclo intero si ha una spinta di 2,6 metri verso destra e di 0,632 metri verso sinistra; dunque, con la differenza utile di 1,968 metri. Ora, consideriamo il caso in cui viene progressivamente aumentata la velocità dei pesi per aumentarne la velocità di lavoro, partendo sempre dalla velocità costante dei dieci metri/secondo dei due pesi, che non spostano il baricentro. Alla prima spinta del peso "A" verso sinistra la base viene spinta verso destra di 1,449 metri/secondo. Visto che il peso "A" viaggia a 11 metri/secondo, i 605 Kg./metri dell'urto sulla sponda sinistra, spostano negativamente la base di 3,48 metri/secondo verso sinistra e di altri 3,48 metri/secondo per il rimbalzo. Il peso "B" avrà una spinta positiva di 3,16 metri/secondo e di altri 3,16 per il rimbalzo; a questo punto, anche il peso "B" non appena si avvierà verso sinistra, avrà il suo aumento di velocità da 10 a 11 metri/secondo. Volendo calcolare i metri/secondo per il tempo e vedere lo spostamento del baricentro per un ciclo si ha:
spinta peso "A" 1,44 x 0,9 = metri positivi 1,3
urto peso "A" 3,48 x 0,1 = metri negativi 0,5
rimbalzo peso "Al' 3,48 x 0,1 = metri negativi 0,5
spinta peso "B" 1,44 x 0,9 = metri positivi 1,3
Non tenendo presente che, alla fine del secondo mezzo ciclo, il peso "B" sarà il primo a dare una spinta positiva e consideriamo invece che i due pesi arrivano alla sponda contemporaneamente, in un ciclo si avrà un totale positivo di 1,6 metri di spostamento.Ora stimiamo la velocità dello spostamento del baricentro in metri/secondo per mezzo ciclo:
spinta peso "A" positivo 1,44
urto peso "A" negativo 3,48
rimbalzo peso "A" negativo 3,48
urto peso "B" positivo 3,16
rimbalzo peso "B" positivo 3,16
velocità residua 0,8.
Quindi nel primo mezzo ciclo il baricentro avrà una velocità residua di 0,8 metri/ secondo. Dal momento che nella pratica è quanto mai difficile ottenere spostamento lineari alternati con accelerazioni istantanee, sia con il rimbalzo frontale e sia con altri mezzi, a titolo esemplificativo consideriamo (fig.2) due pulegge "C" e "D" fra le quali gira una cinghia "E" e ad un punto della cinghia fissiamo il peso-massa "F". Con questo sistema si evita il rimbalzo frontale grazie ad una dolce inversione di moto; mentre, rimane il movimento lineare, per il quale valgono le considerazioni fatte prima. Per evitare congegni meccanici, non adeguati, si è progettato un meccanismo roto-lineare, costituito da un albero rotante con alcuni settori di volano dondolanti; durante la rotazione, detti settori di volano hanno, fra l'altro, un movimento che si può considerare lineare, visto che possono non rispettare la rotazione dell'albero. Si fa ora una descrizione dettagliata dell'invenzione che farà riferimento specifico alle tavole I e II, nelle quali si rappresenta uno schema preferenziale del tutto esemplificativo e non limitativo ed in particolare, si rappresenta: fig. 1) uno schema lineare che fa capire come sia possibile avere lo spostamento del baricentro con le sole forze interne.
fig. 2) uno schema teorico di un meccanismo roto-lineare.
fig. 3) la realizzazione del meccanismo roto-lineare secondo l'invenzione.
fig. 4) il meccanismo roto-lineare con vista laterale.
Secondo l'invenzione, il meccanismo roto-lineare (figg. 3 e 4) è costituito da un albero di rotazione (1) che ruota sui suoi due supporti (2); su detto albero vi è solidale un cilindro o mozzo (3); sul mozzo vi sono due cilindretti o spinotti (4), sui quali può oscillare un settore di volano (5) con il relativo peso-massa (6).
La parte rivolta all'esterno del peso (6) è magnetizzata in modo permanente con il polo nord; quando la macchina è in rotazione, il peso (6) si troverà a sfiorare un elettromagnete (7), che solo al momento del loro massimo avvicinamento avrà un impulso tale da formare un polo nord, forte e per un breve tempo in modo da respingere il magnete permanente e, fra l'altro, assicurarne la rotazione. Quando l'elettromagnete (7) spingerà il peso (6), questo non rispetterà la rotazione circolare del mozzo (3) perchè il settore di volano libero (5) che è un tuttuno con il peso (6), avrà per un tratto un movimento che può essere considerato lineare. Una volta ottenuto il moto lineare alternato, si possono dare delle spinte fra il peso-massa grande, che è rappresentato da tutto il meccanismo, e in opposizione al peso-massa piccolo roto-oscillante. Poichè il peso-massa piccolo viaggia velocemente, il lavoro di azione a suo carico rende di meno per il fatto che un poco di forza viene perduta nello spostamento;il lavoro di reazione al peso massa grande renderà di più e, di conseguenza, vi sarà un residuo di spostamento e di velocità.
Con le conoscenze della meccanica ed elettronica attuali si possono costruire facilmente meccanismi rotolineari, oggetto della presente invenzione, ed utilizzarli per lo spostamento di qualsiasi oggetto, comprese le navicelle spaziali.



Laureti E.: L’ipotesi di Velocità Iper Luce per il Dispositivo Operativo di Potenza SC23, e Discussioni su Internet………..38





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