MONTAGNE VOLANTI

In verità vi dico che se uno dicesse a questo monte:"Lèvati e gettati nel mare!", e non esitasse nel suo cuore, ma credesse che avverrebbe ciò che dice, gli sarà concesso. (Marco 11,23).

Non se ne abbia a male nessuno se apriamo questo sito dedicato agli asteroidi ed alle comete con una citazione del Vangelo di San Marco.
Sicuramente dobbiamo riconoscere che la storia del rapporto degli uomini con gli innumerevoli pianetini che scorrazzano per il Sistema Solare è intimamente legata alla fede.
Non era forse un uomo di fede quel Giuseppe Piazzi, monaco dell'ordine dei teatini, che il 1› Gennaio 1801 (quasi esattamente due secoli fa) scoprì il primo pianetino dando ad esso il nome di una divinità pagana, Cerere, forse anche come riconoscimento alla fede degli antichi padri?
E come definire diversamente la motivazione delle migliaia di astronomi ed astrofili che in questi duecento anni hanno serenamente dedicato una vita di osservazioni, studi e calcoli gli uni, e le ore del tempo libero gli altri, alla ricerca e catalogazione di questi effimeri puntini vaganti nel cielo notturno?
E ancora, come definire l'atteggiamento di alcuni ricercatori dei due secoli passati che, tra il profetico e lo speculativo, hanno più o meno a proposito scritto di mondi che si scontravano ed altre facezie del genere, rinverdendo le leggende dei Galli che vivevano col timore che il Cielo potesse sempre cader loro addosso? Certamente uomini come Daniel Moreau Barringer, l'imprenditore che investì tante delle proprie energie nel tentativo di trovare il corpo generatore del Meteor Crater in Arizona e di trarre onesti profitti dallo sfruttamento minerario di tale oggetto, erano mossi anche loro dalla fede, anche se bisogna riconoscere che, nel caso specifico, lo sforzo di coniugare una fede "celeste" nell'esistenza di pianetini di nickel e ferro capaci di precipitare sulla Terra, con la fede molto più "terrena" nella possibilità di sfruttare tale risorsa a scopi industriali non ebbe molto successo.......
Fu infatti necessario attendere più di mezzo secolo, prima che un ricercatore del Servizio Geologico Americano di nome Eugene M. Shoemaker dimostrasse come il cratere fosse stato prodotto dall'impatto di un corpo solido, andato praticamente del tutto distrutto.
Ma il cratere era stato scavato più di 12.000 anni fa, quindi non si poteva affermare con certezza che vi fosse un rischio concreto ed in qualche modo quantificabile di impatti durante il nostro periodo storico... Certo, c'era stato l'evento di Tunguska, risalente al 30 Giugno del 1908, ma nessun cratere era mai stato ritrovato, e c'era qualcuno che avanzava l'ipotesi che si fosse trattato dell'esplosione di una gigantesca nube di metano fuoriuscita da un giacimento, mentre qualcun altro giungeva fino a proporre l'ardita teoria secondo la quale si sarebbe trattato addirittura dell'esplosione di una astronave extraterrestre a propulsione nucleare precipitata nella nostra atmosfera.
C'era dunque bisogno di una conferma più diretta. Intanto i dati delle sonde inviate verso la Luna e verso Marte avevano rafforzato la convinzione di molti scienziati che i crateri lunari fossero quasi tutti di origine meteorica e le immagini ritrasmesse a terra avevano dimostrato l'esistenza di grossi crateri da impatto sulla superficie del quarto pianeta del nostro Sistema Solare.
Qualche altra formazione geologica sospetta veniva scoperta sulla crosta terrestre, ma era roba ancora più antica del Meteor Crater.
E poi, come spesso avviene nella storia umana, c'era sotto sotto la presunzione di vivere un'era speciale, e che il rischio che il Cielo potesse caderci addosso fosse in qualche modo da relegare nel dimenticatoio.
Insomma, se qualche menagramo aveva proprio voglia di credere che oggetti grandi come montagne potessero volare attraverso la nostra atmosfera sfracellandosi contro il Nostro Pianeta, ebbene, che lo facesse pure, ma senza troppo turbare i sonni degli onesti contribuenti con le sue balzane teorie.
Poi ci fu il bolide del 10 Agosto 1972, ed i "credenti" ebbero a loro disposizione un bel filmato a colori di qualche decina di secondi per dimostrare agli scettici che un oggetto di qualche centinaio di tonnellate poteva passare a meno di settanta kilometri di altezza dalla crosta terrestre viaggiando alla non trascurabile velocità di 15 km/s, per poi graziosamente perdersi nello spazio da cui era improvvisamente emerso.

Qualche anno dopo, in una località vicino Gubbio, Isabella Premoli Silva e Luis W. Alvarez si dedicarono allo studio di uno strato geologico spesso pochi centimetri, posto al confine tra i sedimenti del Mesozoico e quelli del Cenozoico.
Lo strato era costituito da un'argilla con un alto tenore di ceneri e risultava ricco di iridio, un elemento molto raro sulla crosta terrestre, ma relativamente abbondante nelle meteoriti.
Questa scoperta portò Luis e Walter Alvarez (quest'ultimo fisico e figlio del primo) Frank Asaro ed Helen Michel ad avanzare l'ipotesi che l'estinzione di massa verificatasi al termine del Cretacico, nella quale scomparvero oltre ai dinosauri anche molte altre specie viventi, fosse dovuta all'impatto di un asteroide del diametro superiore ai dieci kilometri, avvenuto circa 65 milioni di anni fa.
Si era nel 1984, e la teoria sollevò una serie quasi infinita di polemiche, ma venne alla fine accettata da buona parte della comunità scientifica internazionale.
Ma 65 milioni di anni erano molti, affermavano gli scettici, e quindi da quell'impatto (pure che fosse avvenuto) non era lecito estrapolare automaticamente che anche ai nostri giorni qualcosa del genere potesse ancora accadere.
Qualcuno fece allora notare che l'estinzione di massa del Cretaceo non era l'unica che si potesse rinvenire nella storia del nostro pianeta, altre ce n'erano state, e la distanza temporale media tra un'estinzione e quella successiva era di circa 65 milioni di anni.... Per giustificare questa intrigante scoperta, si avanzò l'ipotesi che periodicamente si avvicinasse al Sole una sua oscura e finora sconosciuta compagna, denominata Nemesi dal nome della dea greca della vendetta.
Il passaggio di questa ipotetica nana bruna attraverso la nube di Oort avrebbe perturbato le orbite di numerose comete spingendole all'interno del sistema planetario del Sole, ed una o più di esse, ad ogni ritorno di Nemesi, avrebbe finito per schiantarsi sulla Terra.
Ma per gli scettici le prove di questi ritorni erano, ancora una volta, decisamente troppo labili......
Dunque, per giustificare una vera paura ci voleva una prova assolutamente inconfutabile.
E la prova arrivò.

A procurarla fu la moglie del già citato Shoemaker, l'inseparabile Carolyn (inseparabile fino in fondo, dato che ambedue sarebbero morti qualche anno dopo nel medesimo incidente stradale) con la collaborazione di David Levy, del marito e di Philippe Benjoya, i quali scoprirono su due lastre fotografiche riprese dall'Osservatorio di Monte Palomar uno strano oggetto.
Doveva trattarsi di una cometa, ma l'aspetto era decisamente inconsueto. Sulle lastre appariva una sorta di "fuso", che alle successive e più accurate osservazioni, si risolveva in una serie di piccoli nuclei, con un caratteristico aspetto a "filo di perle".
Si era nel Marzo del 1993, e l'oggetto, denominato "cometa Shoemaker-Levy 9", si impose subito all'attenzione degli esperti per le sue peculiarità.
La sua struttura fu presto attribuita alla disgregazione di un normale nucleo cometario, disgregazione operata dalle forze mareali generate dal passaggio del nucleo progenitore a breve distanza da Giove, avvenuto nel Luglio del 1992.
Ricostruendo poi l'orbita della cometa, si scoprì che nell'avvicinamento al pianeta il campo gravitazionale di questo non si era limitato a ridurre in frammenti il nucleo cometario, ma aveva immesso tali frammenti in orbite molto simili, ma non più circumsolari. In pratica la Shoemaker- -Levy 9 era divenuta un satellite di Giove, ma un satellite a vita molto breve, perché il periastro delle ellissi si trovava all'interno del raggio planetario.
In poche parole, i frammenti del nucleo cometario erano destinati a consumarsi nella profondissima atmosfera di Giove e, forse, a sfiorare la superficie dei suoi oceani di idrogeno liquido.
Gli impatti avvennero, come previsto, nel Luglio del 1994.
Non fu possibile osservarli direttamente dalla Terra, ma le gigantesche macchie generate dagli impatti, alcune dello stesso diametro del nostro pianeta, furono perfettamente visibili anche con strumenti amatoriali.
I "credenti" non avevano più ragione di essere tali, essi avevano visto con i loro occhi quello che neppure il più scettico degli scettici poteva ormai negare: anche un singolo frammento di un nucleo cometario, in particolari condizioni, era perfettamente in grado di sconvolgere tutta la biosfera terrestre.
Ma c'erano diverse persone che, già da molti anni, non avevano bisogno di nutrire fede in ciò che ufficialmente non era mai stato osservato prima.
Alcune settimane or sono, sulla prima pagina di un quotidiano romano, è apparso un articolo in cui uno dei più noti divulgatori scientifici di questo paese rivelava che nell'ormai lontano 1965 era caduto sul Canada "un asteroide con una potenza devastatrice pari a una volta e mezzo quella che distrusse Hiroshima."
Subito dopo questa pesante affermazione, l'autore si affrettava a fornire una giustificazione alla mancata diffusione della notizia.
Se non abbiamo compreso male, il contenuto di questa excusatio non petita sarebbe in sintesi il seguente. La notizia fu sottoposta a segreto perché non si volevano indirettamente rivelare le prestazioni dei satelliti militari degli Stati Uniti.
Ora, a nostro modo di vedere, tale giustificazione è largamente plausibile, ma presenta una validità temporale limitata.
Per spiegarci meglio, ricorderemo che le prestazioni dei satelliti militari, intese sia come capacità di raccogliere dati, sia come capacità di discriminare tra le informazioni acquisite integrandole al fine di attivare le procedure opportune, sono andate continuamente crescendo, e quello che nel 1965 era esclusivo appannaggio di una sola grande potenza, nel 1991 era con ogni probabilità divenuto parte delle conoscenze tecniche di qualsiasi paese in grado di porre in orbita un satellite artificiale.
La data del 1991 non è ovviamente scelta a caso. In quell'anno il nemico di sempre dell'Occidente sembrò dissolversi, e con esso scomparve anche "l'incubo di olocausto nucleare Usa-Urss". Ma allora, perché aspettare altri otto anni a divulgare la notizia? Tanto più che, come afferma lo stesso autore, l'impatto e le sue eventuali conseguenze strategiche erano stati ampiamente dibattuti in illo tempore dagli scienziati che periodicamente si riunivano in una nota località del nostro Bel Paese. E quindi, se ci si riferisce, come nel caso specifico, ad un periodo di tempo di un quarto di secolo, la probabilità di una fuga di notizie appare discretamente alta.
Inoltre la concretizzazione del rischio avrebbe convertito alla causa di coloro che sostenevano la necessità di incrementare gli studi sugli asteroidi molti altri ricercatori, consentendo un più rapido approccio anche ad eventuali soluzioni operative, sia nel campo della scoperta, sia in quello a tutt'oggi ancora decisamente carente, di un eventuale intervento sul possibile impattore.
Se poi si fosse voluto attendere qualche altro anno per eccesso di scrupolo, non si sarebbe mai trovata un'occasione migliore di quella offerta dalla Shoemaker-Levy 9 nel 1994 e, in effetti, negli anni immediatamente successivi qualcuno accennò all'osservazione a mezzo di satelliti militari di fenomeni di penetrazione dell'atmosfera terrestre da parte di meteoroidi, ma nessuno diede un'indicazione precisa di quel singolo evento e, soprattutto, dell'ordine di grandezza dell'energia liberata da esso.
Sia come sia, un dato fondamentale è stato tenuto nascosto per ben trentacinque anni alla maggior parte dei ricercatori (professionisti e non) in campo astronomico.
A prescindere da qualunque considerazione di carattere etico, se si collega quanto appena detto alla recente emanazione dei protocolli relativi al rilascio di informazioni su possibili rischi di impatti asteroidali, viene spontaneo chiedersi se il livello di oggettiva censura su tali argomenti sia politicamente e socialmente accettabile.
L'aspetto peggiore di questa situazione è, a parere di chi scrive, che tutto ciò potrebbe anche essere indirizzato, seppure inconsciamente, ad occultare almeno in parte la permanente incapacità degli attuali sistemi spaziali ad intervenire in modo adeguato su alcune delle possibili minacce.
Minacce che potrebbero rivelarsi decisamente peggiori di quelle previste anche solo fino a qualche anno fa, dato che da più parti è stata recentemente ipotizzata l'esistenza di una popolazione asteroidale caratterizzata da orbite interne a quella del nostro pianeta, ma con afeli pericolosamente prossimi all'Unità Astronomica.
Si tratterebbe di oggetti molto difficili da scoprire con strumenti piazzati sulla superficie terrestre, e che quindi richiederebbero il dispiegamento di satelliti astronomici dedicati.
Vi è infine un'altra ipotesi, che non esclude la prima, anzi la avvalora, atta a spiegare la riluttanza a diffondere notizie sui possibili impatti.
Forse il numero di eventi di tipo meteorico (qui il termine viene usato nel senso più ampio possibile) osservati è andato aumentando in questo ultimo secolo non solo per l'incremento del numero degli osservatori, per l'introduzione di mezzi tecnici dedicati e per la comparsa di una rete di comunicazione globale.
Forse il numero di tali eventi è cresciuto, come diceva Totò, a prescindere da tutti questi fattori.
Forse qualcosa di dimenticato (o rimosso) sta tornando dai freddi spazi transplutoniani (e dai recessi dell'inconscio collettivo) nella porzione più interna, planetaria, del nostro Sistema Solare (e nella viva luce della conoscenza esplicita) portandosi dietro un codazzo di corpi minori (e di incubi e di sogni meravigliosi).
Se tale estrema ipotesi fosse verificata, i prossimi venti anni potrebbero essere i più importanti nella storia dell'astronomia dai tempi dei babilonesi in poi.
Anche sui reperti archeologici babilonesi, infatti, è possibile evidenziare segni interpretabili come testimonianze dell'esistenza di un altro pianeta, visibile ad occhio nudo. A noi il compito di discernere se tale interpretazione di questi segni sia solo frutto di fantasia o abbia invece un riscontro nella realtà e nella memoria della razza umana.
Nell'inaudito caso poi che si reperti tale duplice riscontro, il compito sarà ben altro: misurarsi con una emergenza che forse mai la razza umana ha affrontato vittoriosamente prima d'ora.
E anche per questo ci vorrà molta fede.

Massimo Ceccarelli

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